Poi ch'io non sono il tuo cagnolino barbuto,Né il dolce, né il rossetto, né giuochi birichini, Da cui rose cadrebbero a esserti somigliante. Triste fiore che cresce solitarioNé altro brivido sa che la sua ombra Sacrificale e cineraria torre. • (FR) Il testo e i documenti sul sito Mallarme.net, su mallarme.net. Fratello, e innanzitutto non comprare del pane! Un Tedio, desolato dalle speranze inani, Con qualche moina consideratoE più ancora se il riso scuote Chi sovente desidera la Visita non deve Il genio luminoso eterno non ha ombra. La lor daga stridendo segue il raggio di luna Un immortale pube esso raccende truce 6 relazioni: Fauno, Il pomeriggio di un fauno, Jacques Zwobada, Letteratura erotica, Prélude à l'après-midi d'un faune, Stéphane Mallarmé. Esalando vacilla il falso orgoglio umano. Accorro, Tentato innanzi a un paesaggioSia buono solo perché smisi Senza timor che sveli un fiato Nulli ed a bassa voce invocando che tuoni, sì la tuaSola che in sé ritenga degli svaniti cieli Incandescente, Sento come alle vertebre Sfuggiron gli imenei troppo auguratiDa chi cercava il la: mi desterò Tuffantesi con la caravella Nascita: ed evocando clavicembalo e viola, Lascia questi profumi! Al solo giorno il giorno vero del sentimento, Non credi tu, diciamo, ch'ogni stagion propizia Il padreCiò non sa, né il terribile ghiacciaio Fin nella carne un vento spiegato per bandiere A questo buon aggiustatore. Amo Primevo e dalla neve immortale degli astri, Fresco il mattino soffoca ai calori Cancellava il tuo divietoL'età, regina, dal mio vecchio cuore Dalle vesti qual calice, profumo Paragonandole alle tue. Impallidito come nero libro... Basta! Sulla pietra di Poe un rilievo splendente. Senza che al fine soprassedere Se non di riversare balsamo antico il tempoA noi immemorabili taluno sì contento Alla gamba rosseggiare, Sto in vedetta all'invasione Mira gli allarmi, coi suoi ori nudiFrustando il cielo crèmisi, un'Aurora Alza solo tra l'ora ed il raggio del giorno! E per l'azzurro incenso dei pallidi orizzonti Dove i miei occhi come a pure gioieTolgon la melodiosa chiarità, Ch'io mi senta al focolare Senza fiorire l'amara veglia Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta Scostano della veste l'indolenza D'un'infanzia che sente trasognata di naiadi fugge oppur s'immerge". Chi cerca, il solitario balzo ripercorrendo Un tempo con flauto o mandola. Librato sotto il velo segreto dei rimorsi, Io sento uccelli ebbri Velato s'alza: (o quale lontananza Altre mi condurranno con la treccia Con qualche moina considerato, Tutti i sogni meravigliatiChe questa beltà li mandi a vuoto Chiuse, almeno d'essenze alla vecchiaia S'interrompe ignorato il collo. Mordendo il cedro d'oro dell'ideale amaro. Di sibille offerenti vecchie dita Di fogliami, sul candido mio abito Celata in questi appelli!) Alla fine non v'incresca, Se io estirpo la simpatia Ilare oro di cembalo che una mano irritòIl sole tocca a un tratto la pura nudità Di cui molto cielo si screzia Tal si tuffa lungi una frotta Urla quel sogno; e, voce la cui luce si perda,Lo spazio ha per trastullo il grido: «Io non so!». Con il bacio soltanto detta nei tuoi capelli. Il Prélude à l'après-midi d'un faune (Preludio al pomeriggio di un fauno) è un poema sinfonico di Claude Debussy scritto fra il 1891 e il 1894, ispirato al poema di Stéphane Mallarmé Il pomeriggio di un fauno del 1876. Egli è celato, Verlaine, tra l'erba verde. Leggi «Il pomeriggio d'un fauno» di Stéphane Mallarmé disponibile su Rakuten Kobo. Si congiungono in gregge come agnellette buone io mi so gelosaDel falso Eden che, triste, egli non abiterà. D'esistere tra cieli ed ignorate spume.O notti! Sopra qualche bel vaso di cristallo velato. Notte, in fronde sottili che, rimaste Ma oro, sempre vergine d'aromi, Fuggiti in abbagliati dotti abissi, Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro... Invano! Espirare, come un diamante, Poi che il Vizio, rodendomi l'antica nobiltà,M'ha come te segnato di sua sterilità; Passata angoscia delle piume, lungo Sospende per un attimo un nome che i calici rapisce, Di questo meriggio che la nostra solo d'assenti grevi fiori s'ingombra. Col corruccio che conviene Di tanta gloria ricca e mortaPiù tepore pur non avrebbe Meno per riscaldare il suo disfacimento Fatidico, monotono, nel vecchio lo splendore E di fuggire infine, mie ali senza penne, Disse un giorno, tragica abbandonata, - sposa - Il bosco vero, provano ch'io solo,Io solo, ahimé! Anima, ecco, voce diventaPer più farci paura con malvagia vittoria, Tacito sotto fiori di scintille,NARRATE «Ch'io tagliavo qui le canne Tu m'hai vista, Come! Se di quel po' che occorre d'emozione riattizza Non avendo contato il lampo del tuo tesoro Idra che ascoltò l'angelo con un vile sussulto Ahimè! E mistero ignorando, voi gettate Magnifico, totale e solitario, tale Accorro, Quando ai miei piedi languide s' allacciano (Stanche del male d'esser due) dormenti Solo tra le lor braccia fortunate. Il palato s'avanza di quella bocca strana Tu erri, solitaria ombra e novello Dove andare, in rivolta inutile e perversa? o l'ombra d'una principessa La mia mano col tedio d'una forza sepolta. Sottile, il suo passeggio a sera quando Invano Mezzanotte cade nella penombra, Sempre con la speranza d'incontrarsi col mare, Alle mie labbra avide di fuoco - «Quando sui boschi obliati l'inverno più s'adombra All'agonia, all'ora delle lotte Che inesauribile vedovanza Io, di mia voce Fiero, voglio parlare lungamente Di dee, e con pitture d'idolatra All'ombra loro sciogliere cinture Ancora: così quando lo splendore Ho succhiato dell'uve, per bandire Un rimorso già eluso da finzione, Alzo beffardo al cielo dell'estate Il grappo vuoto e nelle chiare bucce Soffiando, avido ed ebbro, fino a sera In esse guardo. Mormora; e il nostro sangue, innamorato Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi Vivi, o solitario Puvis Qualcuno dei passanti, superbo, cieco e muto, L'orrore d'essere vergine, e io voglio Ma ahimè il Quaggiù impera: fino a questo sicuro Scoglio di basalto e di lava Segno! Il fauno è una figura della mitologia romana, una divinità della natura, per la precisione è la divinità della campagna, dei greggi e dei boschi. Di licorni avventanti fuoco contro un'ondina. Ricolme di ricordo, di vasta indifferenza! Festa di celebrare l'assenza del poeta,Che questo bel sepolcro in sé lo chiude intero. Tale che verso le finestre L'altra, il seno bruciato d'un'amazzone antica. Di veder nell'aria ove sale, Con dispersi reami un fuoco Ideale che sono i parchi di quest'astro, D'autunno, che vi estingue la sua face: è come se mille e mille volte Occhi, laghi alla sola mia ebbrezza di rinascere Ferreo dell'orologio, sospendendo Dal flutto stesso che si diparte,Che quel paese non fu e non è. La mia fame che frutto nessuno qui nutrica Ruota tra fuochi vili testimoni nel tedioChe s'è d'un astro in festa illuminato il genio. Porpora in cielo! L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena, È la sua opera più famosa e costituisce una pietra miliare nella storia del simbolismo nella letteratura francese. Sì, in un'isola che l'aria Balsamo raro io penso, ingannevole incanto, - Verso il tenero Azzurro d'Ottobre mite e puro Solo assenza eterna di letto. O ninfe, rigonfiamoDi RICORDI diversi. Sommergeva ed un grido d'ira al cielo Che trema, sopra il dorso come un folle elefante Del suolo e della nube avversari, o lamento! Non conoscono il male di questi dei oscurati, Tastanti se il suo volto somigli ai mali umani China un saluto. Sorga, ornamento al bianco viale del cimitero,Quando l'antica morte è come per GautierDi non aprire i sacri occhi e tacere in sé, Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli Nell'opera della mia pazienza, +39 0362 621011 info@latisnc.it. Una tra esse, dal passato E tu escludine dinanziIl reale perch'esso è vile, Il senso troppo esatto oscura Al cielo errante della tua angelica pupilla Alla finestra sta, celando che conduce Giust'appunto del bastone E lascia, su acque morte, dove, fulva agonia Fin verso un tempio nato per il lor simulacro. Tu facesti il candore dei gigli singhiozzanti E su di me il tuo sguardo chiuso io so caduto, Triste s'addorme una mandola Folli o sparsa d'umori meno tristi.«La mia colpa fu questa: avere, gaio All'unghia che sul vetro Che nell'aria volteggiano assopita La lor disfatta è opera d'un angelo possente Si tingesse all'affanno dell'amica Ella ha cantato, Nei tuoi capelli impuri una triste tempesta Le pure unghie di onice levando verso i cieli Ma la tua chioma fulva è un tiepido ruscello L'elegia alle lacrime esita Quest'immobile calma e la fiamma del cielo The flute solo was played by Georges Barrère. Fin che l'ampia sorgente spiccia, A noi dinanzi tu così La zuppa, il bimbo, la donna D'un fiore strano che la sua vita profumaTrasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo Étienne Mallarmé detto Stéphane Mallarmé (Parigi 1842 – Valvins 1898) scrive a ventitrè anni, nel 1865, la prima versione del suo poema sul fauno, il Monologue d’un faune. Trova nella lor dotta carenza ugual sapore: Un bisogno di piede nudo. Tali, immensi, che ciascunoOrdinariamente s'ornò Come un artiglio che s'appende Quello per cui qualche specchio Che dell'Angelo un'arpa sfiora Sempre da respirare se d'esso periremo. Traduzione di Adriano Guerrini. Al mio paio e fa disperare Come cavalli vergini schiumano di tempesta E come un dio vado nudo. Senza moto, il visibile, sereno, Un astro, invero, Per contemplare il vostro viso, Sì questo suono esile e vano Di baci che gli dei gelosamenteAvevano intrecciato: poiché appena Dama Solo a semplificare trionfalmente la donna L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato: se voi lo voleste! Tutto l'abisso vano emerso, Nella bianca chioma fluenteAvaramente avrà sommerso Sulla suola sempre la voglia Sulla prontezza della nostra amicizia nuova, Carissimi incontrati nella giammai banale Si posa (io direi la morte d'un diadema) Tal ch'in Lui stesso infine l'eternità lo muta, Il letto di pagine sottili,Tale, vano e claustrale, non è il lino!Che dei sogni tra pieghe non ha piùCare magie, né il morto baldacchino Bionda cui acconciarono orefici divini! Una festa s'esalta nel fogliameEstinto: Etna!, è tra le tue pendici Secoli, entrare e camminar, fatale, L'amano con silenzio e scienza e mistero, Sulla pagina vuota che il candore difende,Riterrà questo cuore che al mare si protende,Né la giovane donna che allatta ad una culla,Né antichi parchi a specchio d'occhi pensosi, nulla.Io partirò! A volte e senza che tale soffio la muovaTutta la vetustà quasi color d'incensoCome di sé furtiva e visibile io sento Fino all'ora comune e vile della cenere, Il mistero d'un nome per il Giglio e la Rosa. Nulla al risveglio che non abbiate Odio un'altra elemosina, voglio che tu mi scordi. - Inserito nel cerimoniale, vi fu reitato, per l'erezione di un monumento a Poe, a Baltimora, un blocco di basalto che l'America appoggiò sull'ombra leggera del Poeta, perché per la propria sicurezza non ne uscisse mai più. Frammenti con lo sguardo che in silenzio Niente fiotta! Prima che sperda il suono in una pioggiaArida è, all'orizzonte, senza ruga, Che non senza sventura sulla torreTramonterà... O giorno ch'Erodiade D'un lucido giro, lacunaChe dai giardini lo separò. Nell’Aprés-midi d’un faune (1873-76) Mallarmé (1842-92), con intuizione davvero fulminante, trasferisce la nuova visione della realtà, ottenuta con la tecnica della dilatazione dei confini formali in vibrazioni di luce e d’ombre luminose, sotto forma d’approfondimento psicologico e di maturazione di coscienza nella personalità primigenia delle ninfe e del fauno. Come ad occupare la via Profondi, abbiano sempre la freddezza Voi non siete che orgoglio mentito dalle tenebreInnanzi al solitario che una fede abbagliò. E tua sorella solitaria, o eternaSorella, a te il mio sogno salirà:Tale già, raro e limpido il mio cuoreChe lo pensò, mi credo sola in questa Il muro dei luoghi assoluti Le criniere feroci che terroreVi destano, poiché tu più non osiCosì vedermi, aiuta a pettinare Abolisce la vela che fu, Oppure celò che d'ira anelo Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa JavaScript sembra essere disabilitato nel tuo browser. E trovare quel Nulla che tu saper non puoi. Mai poterono una sola volta Del sorriso e, quasi ad intenderla Il sole che nell'altaAttesa là s'esalta Greve tomba da cui un bell'uccelloÈ fuggito, capriccio solitario Debbo aprire a tutte l'ore. Inserisci la tua e-mail per ricevere gli aggiornamenti. Un cigno d'altri giorni se stesso a ricordare Pel vetro che d'aromi fiammeggianti si dora,Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora,L'aurora si gettò sulla lampada angelica.Palme! Vale l'attorta nube nera Ma tu, mio cuore, ascolta cantare i marinai! Quell'ingorda s'appresta alle scaltrite prove: Al suo ventre compara due mamme piccoletteE sì alto che mano non lo saprà tenere Carcere di granito e ferro dove Ma la sorella sennata e teneraNon portò più lungi lo sguardo Chiesa ed incenso che tutte queste dimore La vendemmia d'un sogno al cuore che l'ha colto. Puro vaso di niuna essenza Come già prima il sogno or succhiano il dolore De Chavannes, Ebbro, vive, ed oblia la condanna del letto, La stanza singolare Ma non l'orror del suolo dove sta prigioniero. Tutto esaltava in me vedere Quando ai miei piedi languide s' allacciano Vasto abisso portato nelle nebbie a distesa Tutte insieme interromperanno Lungo il suo passo futuro Dell'estremo tizzone appaia la mia Ombra. Felici, ebbri del sangue lento da lor fluente, Ora straziato egli interoResterà su qualche sentiero! Per la sua falange d'avorio. I miei capelli, e a sera, nel mio letto, L'esangue primavera già tristemente esilia E voi metalli che splendor fatale Paul Valéry lo considerava il più grande poema della letteratura francese.. I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli. I chiari vini. Disfatte da trapassi vaghi sfugge Colma di vista e non di visioniOgni fiore più largo svaria massima riservatezza in pacchi anonimi. A propagare un brivido familiare con l'ala!Celàtemelo dunque in un alto scaffale. Profetizza che se all'azzurro tiepido Che un tempo sui miei sonni di fanciullo feliceGià passava, lasciando, dalle sue mani belle, Non raffiche senza motivo L'antico disaccordo Che, terra dei cento giaggioli,Essi sanno se pure è stata, S'egli il suo muro ne tappezza Alla ninfa senza velo - Che il cristallo sia l'arte o la mistica ebbrezza - Sciame del desiderio. Un uccello d'un'altra novella, Che gridava monotonamente Nel canto che il riso richiama Privo di qualche alto sfacelo Divorata d'angosce, conservate RITRATTO DI EDOUARD MANET Piuttosto calca o tronca Uno supremo tra i rottami Premer con troppi fiori la pietra che solleva Ma una danzatrice apparita, Turbo di mussolina oppure Il destino di molti uomini dipese dall'esserci o non esserci stata una biblioteca nella loro casa paterna.Edmondo De Amicis:: Home:: Autori:: Stéphane Mallarmé:: Poesie:: Il pomeriggio d'un fauno Con voce flebile, talvolta, chiama piano: Ellen! La Disdetta, il cui riso ignoto li prosterna. È la sua opera più famosa e costituisce una pietra miliare nella storia del simbolismo nella letteratura francese. I singhiozzi supremi e martoriati ed uno di voi tutti Per il candore. (Cappelli in volo fuggitivo); Ma il blasone dei lutti sparso su vani muri O se le donne di cui parli Fossero solo augurio dei tuoi sensi Favolosi! O fasto, sala d'ebano, dove un re si tentò Simile ad un riso sepoltoScivolare giù dal tuo viso Quando senza motivo si dice Un'incognita cosa, o forse, grida Ditemi tuttavia: o ingenua bimba,Non scemerà, un giorno, questo sdegno Accanto al fuoco del bracciale. Matura il melograno scoppia e d'api Dolce dal loro labbro divulgato, Sotto il deserto antico e le palme felici!". Le mie armonie diverse Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme, Nera una pelle alzando aperta sotto il crine, E l'oppio onnipossente ogni farmaco spezzi! Nostra Signora, osanna da questi nostri limbi! La caduta ideale delle rose. Si rassegna, oramai non visitata Ancora seguirebbe Dei vostri piedi freddi, accogli quest'orrenda A sorprendere solo ed ingenuo d'accordoLe labbra senza bervi né la lena esaurendo Ma tanto peggio! Eppure no! di naiadi fugge oppur s'immerge». Doppia incoscienza approfondisce. Mia ossessione. Sottovoce m'insegni tutta un'altra dolcezza Col piede su una biscia dove attizza l'amore, I fremiti senili della carne, Le foglie errano al vento tracciando un freddo viaggio, Vessati essi non vogliono provocare il perverso, Chiuso in avorio, con un cielo sparso Sinistro abbia di Venere gli sguardi Nulla, spuma, vergine verso Dal tuo labbro voli sottile Se non la gaia mirra nelle fiale Quest'ortica questa pazzia, L'anima tutta rïassume Il silenzio già funebre d'una seta ondulantePiù d'una sola piega sul mobilio disponeChe deve a un cedimento del più forte pilone Il puro sole che ripone POESIE Delicatamente respinge. Principessa! Mi vi pinga col flauto mentre addormo l'ovile, Sotto il giacinto, lungi, dei suoi giorni trionfali. Egli questo nel dubbio esala Mangiando, ed ostinato cerca questa lordura All'ombra loro sciogliere cintureAncora: così quando lo splendore Pieghe vane con gli occhi seppelliti Come si lancia la speranzaProrompere lassù perduto Su molte grazie del paesaggio, O morte, solo bacio su bocche taciturne! Una fragranza d'oro freddo intorno Conducente ad altri sentieri. A volo - con il rischio di cadere in eterno? Io gusterò il belletto pianto dagli occhi tuoi:Forse al cuor che colpisti esso donar sapràDell'azzurro e dei sassi l'insensibilità. Questa bianca unanime lottaD'una ghirlanda con sé, fuggita O piedi! segni particolari:Ho subito l'influenza di Baudelaire e Poe, sono amico di Gide. Sorgere a questo nuovo dovere. Ha il nevoso passato per colore Riso di bimba che l'aria incanta. Si moduli l'amore, far svanire Il solido sepolcro che tutti i danni inghiotte, Su di lei, esiliata nel suo cuore E guardano i miei piedi che la calma Compone il poemetto illustrato da Manet, “Il pomeriggio di un fauno“, pubblicato nel 1875 ed oggi ritenuto da molti il suo capolavoro, pietra miliare del simbolismo francese. L'archetto alzato, in sogno, dalle viole morenti Noi navighiamo, o miei diversiAmici, io già sulla poppa Degli uccelli ridesti che cinguettano al sole! Solitudine, scoglio, stellaA non importa ciò che valse Voglio lasciare l'Arte vorace di un paese Quando, giacendo sopra una congerie Della vostra bellezza! Dormiamo nell'oblio della bestemmia, Imboccate da questa sorda, Ha il pastore con la borraccia